Omelia per la festa della Madonna della Misericordia

27 giugno 2017

“Ecco tua madre!”; le solenni parole di Gesù in croce risuonano nell’eternità e ancora oggi; non sono dette a un uomo qualunque, ma al discepolo di sempre, sono dette a noi, che qui stasera ancora una volta contempliamo l’immagine miracolosa di Maria e ci sentiamo ripetere da Gesù in persona: “Ecco tua Madre”; e ascoltiamo anche le parole precedenti; un attimo prima Gesù si rivolge a Maria e a lei dice: “Ecco tuo figlio”, e stasera gli ripete indicando ciascuno di noi: “ecco i tuoi figli”.

Mi sembra quasi di sentire l’eco delle parole del Papa che nel suo recente viaggio a Fatima ripeteva in continuazione: “Abbiamo una Madre!”; lo ripeteva commosso, come un bambino che scopre di non essere più solo. Noi possiamo aggiungere: “Abbiamo una Madre di Misericordia”; e chiediamo la grazia di essere un po’ bambini, di sentirci cioè perduti, smarriti, soli, lontano da Maria; più ci scopriamo miseri, più ci scopriamo peccatori, e più dobbiamo stringerci forte alla nostra Madre di Misericordia, con un cuore da bambini. Ma se il nostro cuore deve essere come quello dei bambini, la nostra mente invece deve essere come quella degli adulti, che sanno cioè capire e distinguere il bene dal male, e che sanno decidere per uno o per l’altro. Mettiamoci allora in ascolto di una mente brillante come quella di san Paolo che ci ha parlato nella prima lettura; per altro la lettera agli Efesini è – secondo tutti gli studiosi – una lettera che si può definire circolare, cioè indirizzata non a una comunità cristiana precisa ma a più chiese, dunque può benissimo essere indirizzata a noi oggi. Rileggiamo a partire dalle ultime parole. «Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo». Due affermazioni importanti fa san Paolo: la prima è che noi siamo di Dio, apparteniamo a Lui; la seconda è che siamo fatti per il bene, per le opere buone. Ogni volta che i discepoli di Gesù si radunano insieme, come noi stasera, per mille e mille motivi diversi…, vogliono però sempre ridire come prima cosa che vogliono appartenere a Dio; noi siamo suoi, noi siamo fatti per il bene, la santità è la normalità, il peccato e le cattive opere non ci appartengono, non siamo fatti per loro; tant’è vero che quando facciamo il bene stiamo bene e ci sentiamo bene e felici, e quando invece ci vince il peccato allora ci scopriamo tristi e infelici; finché riusciamo a percepire questa differenza allora abbiamo ancora speranza; è quando ci sempre tutto uguale che dobbiamo preoccuparci perché vuol dire che il nostro cuore e la nostra mente non distinguono più il bene dal male.

È talmente vero che siamo di Dio, che poco prima san Paolo diceva: «Con Gesù ci ha anche resuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli»; siamo talmente una cosa sola con Gesù che con lui siamo già con un piede in paradiso; c’è un posto con il nostro nome scritto sopra e che nessuno può rubarci.

Ma forse la cosa più preziosa per noi stasera la diceva nella prime parole: «Dio ricco di misericordia, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo»; la nostra resurrezione non ci aspetta un domani, ma è già in atto, si realizza ogni giorno, ogni volta che scegliamo il bene. Noi non siamo fatti per il male e per il peccato: questi ci uccidono, ci avvelenano il cuore e ci offuscano la mente, ci rendono schiavi; ma «per il grande amore con il quale ci ha amati» Dio ci libera, ci salva, ci fa rinascere ogni volta.

Noi tutti siamo qui stasera con il peso della nostra vita, con le fatiche, con le tristezze e con le catene dei nostri peccati; ma ricordiamo di non essere fatti per questo, ma per la gioia e per il bene ed è questo che Dio vuole e realizza per noi. Dio ci guarda e il suo amore diventa misericordia e perdono. Impariamo a confessarci spesso; chiediamo la grazia di saper perdonare il prossimo; siamo fatti, costruiti, creati, per questo! Il Signore Gesù guarda con infinito amore la sua Madre e poi indicando ciascuno di noi gli dice: “Ecco i tuoi figli”, e poi guarda noi e ci dice: “Ecco la vostra Madre di Misericodia”.

Omelia per il Corpus Domini

18 giugno 2017

“Noi siamo in comunione con il corpo di Cristo…, siamo in comunione con il sangue di Gesù”, ci diceva san Paolo; e sembra quasi che nella prima lettura Mosè ci dicesse “non dimenticatelo mai”. In tutte queste ultime domeniche abbiamo festeggiato qualcosa di Dio, abbiamo fissato lo sguardo su alcune delle caratteristiche di Dio, che ci hanno fatto contemplare, da tanti punti di vista diversi, l’amore di Dio per noi, e hanno fatto nascere nel nostro cuore la gratitudine e la gioia di chi si sente e si riscopre ogni giorno sempre più amato.

La domenica dell’Ascensione ci ha fatto vedere come noi siamo uniti a Dio, come Dio si ama al punto di mettere la nostra misera umanità dentro la sua grandiosa divinità, la natura umana dentro la Trinità…; la domenica di Pentecoste poi ci ha fatto vedere l’altra faccia della medaglia, come cioè Dio è unito a noi, come Dio ci ama al punto di mettere la sua presenza divina dentro ciascuno di noi, come Dio sceglie di abitare in ciascuno di noi, di fare di ognuno di noi il suo tempio santo…; e ancora la domenica scorsa della Trinità ci ha fatto posare lo sguardo ancora una volta sulla infinita misericordia di Dio, sulla sua scelta di stare in mezzo a noi come colui che è misericordia e amore; il peccato dell’uomo non cambia la natura di Dio che è amore, ma gli fa compiere un salto di qualità: l’amore diventa misericordia e perdono…; e oggi, in questa bella e felice solennità del Corpus Domini, anzi, in questa solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Gesù posiamo lo sguardo sull’amore di Dio che si fa dono, si fa pane, si fa piccolo, si fa spezzato, si fa nutrimento, si consegna a ciascuno di noi.

Come Gesù si è consegnato nelle mani dei suoi carnefici perché si potesse compiere l’opera meravigliosa della nostra redenzione, così Gesù continua a consegnarsi nel pane a ciascuno di noi, perché quella opera di salvezza possa continuare a raggiungere tutti noi, si mette realmente nelle nostre mani; noi dovremmo metterci nelle mani di Dio, ma ci sentiamo indegni o incapaci di cambiare il cuore, e allora Dio stesso si mette nelle nostre mani, e si fa nutrimento per noi. Come diceva bene il nostro amato Papa Francesco: “Gesù non è il cibo dei perfetti, ma il pane e il nutrimento che sostiene il nostro cammino”.

Proviamo allora a tenere a mente due cose che ci fa sempre bene ricordare.

Dio si dona a noi, viene a noi. Ora se a noi qualcuno ci interessa e gli vogliamo bene allora lo accogliamo in un certo modo, se qualcuno invece non ci interessa e anzi ci infastidisce allora lo accogliamo in un altro modo. Come accogliamo Gesù? Come prepariamo il posto per lui? È lui il nostro cibo o è solo un companatico come tanti altri? A partire dalle piccole cose cerchiamo di manifestare il nostro amore verso Gesù: con una richiesta di perdono, con una preghiera devota, con i gesti come il metterci in ginocchio, con il silenzio, anche con il nostro modo di vestire, con l’accostarsi alla comunione con rispetto. Facciamo attenzione a queste piccole cose, perché dicono quanto conta Gesù per noi.

Una seconda cosa ci fa sempre bene ricordare.

Dio si dona a noi, non solo viene a noi, ma viene in noi. Ci assimila a se, ci trasforma, ci cambia il cuore. Come se mangiamo troppo salame o troppa cioccolata o troppo vino si vede…, così se ci nutriamo di Gesù si deve vedere. Come l’amore del marito verso la moglie non si vede dai gioielli che gli regala e che sono frutto solo del suo portafoglio, ma dalla vita di ogni giorno…, così il nostro amore verso Gesù non si può misurare con i giri della processione o con i metri dell’infiorata, ma da una vita degna di lui.

Ma se tutto questo ci sembra troppo complicato, portiamoci nel cuore solo una certezza semplice e assoluta: il primo e più elementare modo per voler bene a qualcuno è esserci, dire io ci sto, sto qui per te, sto qui con tutto ciò di cui posso essere capace, anche con i miei limiti. Dio c’è! C’è per noi! C’è sempre!